PASSIONISTI | Parrocchia Sante Rufina e Seconda - Chiesa di S. Gemma Galgani

In un 10 luglio del III secolo, Rufina e Seconda, patrone della diocesi, furono uccise per la loro fede in un fondo chiamato Buxo, oggi Boccea, alla periferia di Roma. Nella parrocchia che porta il loro nome, venerdì scorso il vescovo Reali ne ha presieduto la memoria liturgica. Con il parroco padre Aurelio D’Intino molti i sacerdoti del territorio e i fedeli, disposti nel rispetto delle misure contro il Covid 19 grazie all’impegno dei volontari.

Figlie del senatore Asterio e di Aurelia, le due sorelle progettavano un futuro di amore con Armentario e Verrino. Erano tempi difficili per i cristiani, le persecuzioni di Valeriano e Gallieno spaventavano molti: i due fidanzati decisero di abbandonare il cristianesimo. All’apostasia volevano indurre anche le loro fidanzate per poi sposarle. Ma, Rufina e Seconda non volevano lasciare quella fede che chiede tutto e che dona tutto, e scelsero la verginità. Davanti al rifiuto i ragazzi reagirono denunciando le due sorelle. Il tentativo di fuggire in Toscana terminò lungo la via Flaminia dove il conte Agesilao le catturò e le consegnò al prefetto Giunio Donato. Interrogatori, pressioni, tortura, niente da fare: loro rimasero fedeli all’amore di Gesù.

La soluzione del potere contro una fedeltà così incorruttibile fu allora la condanna a morte. Condotte al IX miglio della via Cornelia vennero giustiziate una per il taglio della testa e l’altra per i colpi del bastone. Il racconto agiografico descrive il ritrovamento dei loro corpi ad opera della nobile Plautilla: la matrona ne diede degna sepoltura con la costruzione di un sepolcro. Quella Selva nera, luogo del martirio, così chiamata per la folta vegetazione, riceverà da lì a poco il nome di Selva candida perché il sangue delle martiri e di altri testimoni di fede ne aveva purificato la terra.

«Immaginiamo la forza delle nostre sante, uccise dai nemici e sradicate dalle loro famiglie, dal loro popolo», ha spiegato il vescovo nell’omelia: «queste giovani non significavano la debolezza dei cristiani ma la generosità della loro fede»; sui loro sepolcri nacquero delle nuove Chiese, «non gli edifici di pietre che vennero dopo ma edifici di cuori, famiglie di fratelli». Fu papa Giulio I nel 336 ad erigere una basilica dedicata alle due giovani nei pressi del loro martirio. La sua collocazione è coperta da secoli di abbandono, ma, è certo, i suoi resti rimangono solo celati dalla terra. Proprio il vescovo durante l’omelia ha condiviso la speranza nel ritrovamento della chiesa a seguito di recenti ricerche dedicate a localizzarla. Va ricordato in proposito l’approfondito e rigoroso studio condotto da Pamela Giannini nella sua tesi discussa alla Pontificia facoltà di Scienze dell’educazione Auxilium.

Il borgo di Selva Candida, sorto attorno all’antica basilica, divenne sede di una piccola diocesi «che dopo un millennio di vita autonoma – ha raccontato il presule – volle unirsi ad un’altra altrettanto piccola, la diocesi di Porto. Nacque allora la diocesi di Porto–Santa Rufina, la nostra diocesi che con il nome sente di dover conservare la santità dei primi discepoli di Gesù che qui vissero». Nell’anno giubilare per i novecento anni dell’unione di Porto e Santa Rufina, avvenuta sotto Callisto II nel 1120, la festa di Rufina e Seconda è «ricordo della misericordia di Dio, che “si estende fino ai confini della terra” perché dappertutto egli ha mostrato la sua grazia e la sua giustizia», ha sottolineato il vescovo.

da www.diocesiportosantarufina.it

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