PASSIONISTI | Parrocchia Sante Rufina e Seconda - Chiesa di S. Gemma Galgani

Nei tempi antichi la zona dell’agro romano era tanto popolata da avere ben quattro sedi episcopali:  Porto, Lorium (in seguito Sylva Candida), Caere (l’attuale Cerveteri) e presumibilmente Acquaviva (o Pentapoli), tutte completamente distrutte nel IX sec. dalle ripetute scorrerie barbariche e saracene.
Papa Callisto II nel 1120 unì la sede episcopale di Porto con quella oramai deserta di Selva Candida, aggiungendovi la denominazione di “Santa Rufina”, con il conferimento di tutti i relativi diritti e privilegi.
Quella sede episcopale, tanto importante allora da essere la seconda diocesi suburbicaria, risaliva almeno agli inizi del secolo IV ed era stata costituita come città all’VIII miglio della Via Cornelia, vicino al luogo del martirio delle Sante Rufina e Seconda.
La diocesi di Porto è altrettanto antica, avendo origine presumibilmente già agli inizi del terzo secolo nella fiorente città mercantile che si era costituita progressivamente attorno allo scalo marittimo che gli imperatori Claudio e Traiano avevano costruito sulla riva destra della foce del Tevere.
Essa compare ufficialmente nel 314, quando nel Concilio di Arles il vescovo Gregorio si sottoscrive “de loco qui est in portu Romae”.
Già nei primi secoli il territorio diocesano era abbastanza vasto, occupando tutta la regione a nord del Tevere, tra la via Aurelia e il mare; verso Roma comprendeva ampie zone ai lati della via Portuense sino a Trastevere e l’Isola Tiberina (detta “Insula Lycaonia” per il tempio che vi era stato eretto in onore di Giove Lycaonio).
Di fatto si identificava con la circoscrizione civile dipendente dal prefetto dell’annona, essendo la zona commerciale romana distinta dalla città; per cui i cristiani transtiberini e marittimi erano soggetti al vescovo del porto romano.
La sede episcopale crebbe assieme all’espansione dell’impero romano quando nella città giungevano da ogni parte navi cariche di frumento e vettovaglie necessarie alla popolosa città di Roma.
Con la caduta dell’impero, a causa delle invasioni barbariche e delle successive frequenti incursioni  saracene, Porto con la sua Cattedrale subì continui danni sino ad essere completamente distrutta, tanto da non restarne che il nome e l’antica memoria storica.
Il definitivo trasferimento della sede vescovile nell’Isola Tiberina (che comprendeva le chiese di sant’Adalberto e di san Paolino, poi dedicate a san Bartolomeo e a san Giovanni Calybita) sembra essere avvenuto durante l’episcopato di Formoso, durato con alterne vicende per quasi tutta la metà del sec. IX (864-76 e 883-91).
La costruzione (o almeno l’identificazione) di una nuova Chiesa Cattedrale, di un ospizio per i poveri, gli orfani e le vedove e forse dell’episcopio, assieme alla nuova collocazione delle reliquie dei Martiri più importanti, fanno intuire l’intenzione di voler rinnovare sull’isola romana tutto quanto qualificava in passato la sede originaria.
Dalla bolla “Quoties illa” di Benedetto VIII (1018) si desume che ormai, ridotta a deserto la città di Porto, anche il Capitolo della Cattedrale era stato trasferito nella chiesa di san Bartolomeo presso la quale era anche l’episcopio.
In quei luoghi, oltre al Romano Pontefice, solo il vescovo di Porto poteva consacrare le chiese, gli altari, conferire gli ordini sacri, compiere la visita pastorale, avere giurisdizione spirituale e compiere tutto quanto spetta fare ad un vescovo nella propria diocesi. Da qui la consuetudine che i vescovi di Porto hanno continuato a datare i propri documenti dalla stessa città di Roma.
Con l’aggregazione alla diocesi di Selva Candida (1120) si aggiunsero le prerogative di quel vescovo, tra le quali erano la giurisdizione in determinati periodi sulla Basilica Vaticana e sul suo Capitolo, la celebrazione di alcune feste sull’altare papale ed anche l’autorità nel territorio compreso dalla cinta leonina, attribuitagli da Leone IV. Tali privilegi vennero meno gradualmente, soprattutto dopo l’esilio avignonese, quando i romani pontefici lasciarono il patriarchio lateranense per risiedere stabilmente nei palazzi vaticani.
A confronto di tante gloriose tradizioni e di innumerevoli  privilegi attribuiti a Roma al Cardinale vescovo di Porto e Santa Rufina [che sino alla costituzione apostolica “Edita a Nobis” di Pio X (1914), era retta dal Sottodecano del Sacro Collegio], in riferimento alla diocesi per molti secoli restò il governo episcopale di un territorio molto vasto (oltre 2.000 kmq.) e in gran parte abbandonato per l’aria malsana, con poche chiese, con rari centri abitati, con una popolazione di qualche migliaio di abitanti che si triplicava durante i lavori agricoli stagionali e nei mesi della pastorizia, affidati allo scarso zelo pastorale di  sacerdoti e cappellani provenienti da Roma e da ogni parte.
Il territorio di questa diocesi, che si estendeva a triangolo a nord di Roma tra il Tevere ed il Mar Tirreno, confinando con le diocesi di Viterbo, Sutri e Nepi, versava in un così profondo stato di depressione e di abbandono da far scrivere nel 1800 al card. Leonardo Antonelli, da poco eletto vescovo portuense: «Oh Dio! non ho trovato una diocesi, ma uno scheletro arido e spolpato … per le vicende dei tempi, per l’incursione dei barbari, per l’infezione dell’aria, che ha spopolato le città, disertate le campagne, distrutte le chiese, e le pie fondazioni…».
Nel XIX secolo, per qualche tempo, la diocesi di Civitavecchia fu unita a quella di Porto (1825-1854).
Da una statistica ufficiale del 1853, risulta una popolazione complessiva di appena 3.030 abitanti, suddivisi in 768 famiglie in appena 12 parrocchie [tra le più popolose: Castelnuovo di Porto (con 928 abitanti), Fiumicino (507), Cesano (330), Riano (323), Cerveteri (209)].
Nel 1921, durante l’episcopato del Cardinale Antonio Vico,  la popolazione stabile era di 10.000 abitanti, a cui doveva aggiungersi la presenza saltuaria di altre 12.000 persone che vi risiedevano solo stagionalmente provenendo da varie regioni d’Italia.
I centri più importanti erano Castelnuovo di Porto e Cerveteri, ambedue con 1.600 abitanti. Fiumicino, Ladispoli, Cerveteri e Santa Marinella erano molto frequentati “a causa dei bagni e dell’aria marina”; Ladispoli giungeva ad ospitare d’estate sino a 5.000 persone.
Le 19 parrocchie erano servite da 15 sacerdoti diocesani e da alcuni religiosi. Il vasto territorio della diocesi, esposto alla malaria, rimase scarsamente popolato fino alle bonifiche avviate in questo secolo, subendo poi un notevole incremento demografico, soprattutto negli ultimi decenni, per la veloce espansione della città di Roma e dei centri vicini, tra cui Fiumicino dove nel 1956 venne avviata la costruzione dell’aeroporto intercontinentale “Leonardo da Vinci”.
Il cambiamento ebbe inizio già durante l’episcopato del Cardinale Tommaso Pio Boggiani (1929-1937), quando le opere di bonifica favorirono l’inserimento di nuovi abitanti, facendo salire a 35.000 la popolazione complessiva, con 22 parrocchie e 23 sacerdoti diocesani.
Nel 1961, con il vescovo card. Eugenio Tisserant (1946 – 1966), la diocesi era praticamente raddoppiata, avendo oramai 75.000 abitanti, con 40 parrocchie e 73 sacerdoti diocesani.
Tale crescita è continuata progressivamente nel trentennio successivo, sino alla situazione attuale di circa 310.000 abitanti con 70 sacerdoti e 53 parrocchie.
Particolarmente significativa è la presenza di molte case religiose, con 36 istituti di educazione e 18 di beneficenza, con un totale di 147 religiosi (tra cui 117 sacerdoti e 30 laici)  e 910 religiose.
La diocesi è attualmente suddivisa in cinque vicarie: Selva Candida (Casalotti), La Storta – Castelnuovo di Porto, Maccarese, Porto Romano (Fiumicino), Cerveteri -Santa Marinella, che raggruppano le 53 parrocchie.
Porto – Santa Rufina è una delle sette Diocesi Suburbicarie di cui sono titolari i Cardinali dell’Ordine dei Vescovi (attualmente è il titolo dell’Em.mo Card. Roger Etchegaray), come segno del particolare vincolo con la Sede di Pietro.
In conformità a quanto prescritto dal motu proprio Suburbicariis Sedibus del 1962, con il successore del card. Tisserant, l’arcivescovo mons. Andrea Pangrazio (vescovo della diocesi dal 1967 al 1984), ha avuto inizio la serie dei vescovi suburbicari residenziali con piena giurisdizione.
Gli sono succeduti mons. Pellegrino Tommaso Ronchi (1984 – 1985), mons. Diego Bona (1985 – 1994), mons. Antonio Buoncristiani (1994 – 2001).

L’attuale vescovo è Monsignor Gianrico Ruzza, del clero di Roma, nato a Roma il 14 febbraio 1963; eletto l’8 aprile 2016, è stato consacrato l’11 giugno 2016 per l’imposizione delle mani del cardinale emerito Agostino Vallini.
Considerato quando detto sopra, in seguito all’emergere rapido di una “nuova” diocesi, era indispensabile la soluzione di costruire una vera e propria Cattedrale  (che di fatto dopo l’Isola Tiberina non esisteva più), dotandola di una sede per l’abitazione del vescovo e per gli uffici diocesani che prima si trovavano a Roma, legati alle situazioni personali dei cardinali vescovi e alla benevolenza della Santa Sede che in questo secolo aveva messo a disposizione, successivamente, alcune stanze del Palazzo della Cancelleria, della Dataria ed infine di un edificio di sua proprietà nella zona di San Paolo fuori le mura.
La costruzione dell’attuale Cattedrale in località La Storta (Comune di Roma) si deve alla volontà generosa del Card. Eugenio Tisserant che nel 1948 riprese i lavori lasciati incompiuti nel 1926 dal gesuita tedesco p. Leopoldo Fonck, il quale aveva iniziato la costruzione di una chiesa in onore di santa Margherita M. Alacoque. Con fondi raccolti anche negli Stati Uniti d’America, la chiesa venne portata a termine nel gennaio del 1950 e fu consacrata ai “Sacri Cuori di Gesù e Maria” il 25 marzo seguente.
Nell’agosto 1957 vi fu celebrato il Sinodo di Ostia e di Porto-Santa Rufina, mentre il 27 ottobre fu visitata dal S.D. il Papa Pio XII.
Il 25 marzo 1990, nel XL anniversario della dedicazione della Cattedrale, Mons. Diego Bona, completò i lavori della nuova Curia Vescovile; costruita accanto alla Chiesa Cattedrale, è il naturale completamento delle strutture del centro diocesano. Oltre all’abitazione del Vescovo, in essa si trovano gli uffici della Curia Diocesana.
Nell’Anno Santo Duemila la Diocesi si è dotata di un grande Centro Pastorale in via della Storta 783, già sede della Curia Generalizia della congregazione delle Suore Francescane di Dillingen.